martedì 29 novembre 2016

Note su erotismo e pornografia ossia dell'inutile distinzione


L'ostensione della (pura) nudità che si ritiene propria della pornografia, non è il grado zero, il "basic frame" della sessualità, l'oggetto primitivo da cui l'erotismo si erige per distanza, velamento, differimento, ma è esso stesso frammento  di un linguaggio, coprotagonista della seduzione alla pari della guepiere, parte di una rappresentazione dell'atto sessuale che è tale (cioè rappresenta) solo in quanto narrazione. Senza trama narrativa, come il campo nudisti insegna a chi ne ha fatto esperienza, non c'è erotizzazione dell'oggetto, per quanto nudo possa essere. Quindi affermare che il nudo non lo è mai veramente del tutto, neanche nella cosiddetta pornografia,  (un po' come la verità non è poi nuda neanche quando ci pare al colmo dell'evidenza), è una affermazione che ci possiamo permettere di  fare in prima istanza, senza aver neanche bisogno di inoltrarci nella poetica/semantica delle inquadrature, a cui il porno non si sottrae, e alla relativa modulazione di significati del corpo nudo e copulante che è lungi dall'essere, appunto, mera ostensione (50 sfumature di rosa).

Peraltro l'idea che esista una pornografia, univocamente identificabile e differenziabile dall'erotismo, monolitica nella sua essenziale "anatomicità", è un'idea che disconosce  la ricca categorizzazione del porno in relazione alle sue diverse pratiche. Si badi bene, non sono variazioni da architettura del coito (stile kamasutra), ma universi rappresentativi (bondage, sadomaso, mamme, segretarie, infermiere, idraulici, neri, asiatiche, fetish). Solo disconoscendo questa realtà si può evitare di considerare l'ingombrante presenza dei fantasmi dell'immaginario sessuale anche nella cosiddetta pornografia.
Se il pornografico coincide con l'osceno, e l'osceno è tale solo in quanto viene mostrato, è nel mostrare, nella dimensione pubblica, nella rivelazione al mondo, questa qui sì in trasparenza, senza veli, che si deve collocare il significato della pornografia. Senza graphos non c'è oscenità (così' come non è osceno il nostro corpo nell'intimità della vita privata.) Ed il graphos è tale solo nella dimensione del pubblico, anzi, del pubblicato.

Questo riporta i fondamenti della distinzione tra erotico e porno  quella che mi pare essere la sua più genuina collocazione, l'emergenza della cultura di massa che incrocia la "riproducibilità tecnica" prima della fotografia e poi dell'audiovisivo in movimento e la conseguente possibilità di produrre stimoli sessuali per un pubblico improvvisamente molto  vasto, e a buon mercato. E' qui che la cultura elitaria della nobiltà, che si travasa nella nuova classe dominante, la borghesia, alza barricate per distinguere il sesso del popolo - volgare - da quello nobile, erotico, che lascia spazio al desiderio perchè non si sazia del corpo esposto. Curioso e al contempo illuminante mettere in dialettica il dato secondo cui una percentuale massiccia di uomini e donne consuma pornografia su internet, con l'idea che quello offerta dalla pornografia non sia un prodotto adeguato: adeguato a cosa visto che pare che centinaia di milioni di persone traggano piacere ed eccitazione sessuale con la pornografia? In riferimento a quale ordine di ragionamento possiamo imputare un errore, un essere sbagliato, un non-essere alla pornografia? Estetico? Morale? Etico? Epistemologico?

La condanna del realismo.

(citazioni da: Anatomia dell’osceno – Preludio a uno studio dell’oscenità (nell’arte) contemporanea/1 di Roberto Mottadelli)

Di questa dicotomia offre testimonianza involontaria e imbarazzata un intellettuale raffinato come André Bazin. In En marge de «L’erotisme au cinéma» Bazin scrisse infatti che il cinema «può dire tutto ma non mostrare tutto», affermando in sostanza che l’erotismo, quando supera l’allusione e si fa reale, esce automaticamente dai confini dell’arte[3]. Una reazione simile, di istintivo rifiuto dell’osceno, si poneva in contraddizione con il resto della sua estetica, testimoniata da innumerevoli prese di posizione a favore del “cinema della realtà”. Tanto da indurlo ad ammettere con stupefacente candore che «accordare al romanzo il privilegio di evocare tutto e negare al cinema, che gli è così vicino, il diritto di mostrare tutto è una contraddizione critica che constato senza superarla».

Consonante, ma decisamente più lucida, è la posizione del sociologo Renato Stella. Il quale, cercando di individuare il discrimine tra erotismo e pornografia, osserva che la distinzione classica – erotismo come metafora della seduzione, pornografia come pura denotazione del rapporto sessuale – è stata scardinata dal «primato dell’immagine sul racconto scritto, e dell’immagine videoregistrata rispetto all’immagine fotografica, che si traduce in una oggettiva riduzione d’importanza nella diffusione e penetrazione dell’“erotismo colto” (prevalentemente scritto o rappresentato da stampe e fotografie “d’autore”) rispetto alla pornografia (prevalentemente resa in immagini filmate). A questo passaggio di supporti tecnici è concomitante la nascita di nuovi stili di narrazione soprattutto visivi e meno immaginativi, per cui gli antichi confini tra erotismo e pornografia vengono travolti più dai codici, che dai contenuti imposti dal nuovo mezzo. Ne fa fede il fatto che la “letteratura pornografica”, uscita dall’enfer delle biblioteche pubbliche e private, oggi si trova nelle comuni librerie come “letteratura erotica”[4]».


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