L'ostensione della (pura) nudità che si ritiene propria
della pornografia, non è il grado zero, il "basic frame" della
sessualità, l'oggetto primitivo da cui l'erotismo si erige per distanza,
velamento, differimento, ma è esso stesso frammento di un linguaggio, coprotagonista della
seduzione alla pari della guepiere, parte di una rappresentazione dell'atto
sessuale che è tale (cioè rappresenta) solo in quanto narrazione. Senza trama
narrativa, come il campo nudisti insegna a chi ne ha fatto esperienza, non c'è
erotizzazione dell'oggetto, per quanto nudo possa essere. Quindi affermare che
il nudo non lo è mai veramente del tutto, neanche nella cosiddetta
pornografia, (un po' come la verità non
è poi nuda neanche quando ci pare al colmo dell'evidenza), è una affermazione
che ci possiamo permettere di fare in
prima istanza, senza aver neanche bisogno di inoltrarci nella poetica/semantica
delle inquadrature, a cui il porno non si sottrae, e alla relativa modulazione
di significati del corpo nudo e copulante che è lungi dall'essere, appunto,
mera ostensione (50 sfumature di rosa).
Peraltro l'idea che esista una pornografia, univocamente
identificabile e differenziabile dall'erotismo, monolitica nella sua essenziale
"anatomicità", è un'idea che disconosce la ricca categorizzazione del porno in
relazione alle sue diverse pratiche. Si badi bene, non sono variazioni da
architettura del coito (stile kamasutra), ma universi rappresentativi (bondage,
sadomaso, mamme, segretarie, infermiere, idraulici, neri, asiatiche, fetish).
Solo disconoscendo questa realtà si può evitare di considerare l'ingombrante
presenza dei fantasmi dell'immaginario sessuale anche nella cosiddetta pornografia.
Se il pornografico coincide con l'osceno, e l'osceno è tale
solo in quanto viene mostrato, è nel mostrare, nella dimensione pubblica, nella
rivelazione al mondo, questa qui sì in trasparenza, senza veli, che si deve
collocare il significato della pornografia. Senza graphos non c'è oscenità
(così' come non è osceno il nostro corpo nell'intimità della vita privata.) Ed
il graphos è tale solo nella dimensione del pubblico, anzi, del pubblicato.
Questo riporta i fondamenti della distinzione tra erotico e
porno quella che mi pare essere la sua
più genuina collocazione, l'emergenza della cultura di massa che incrocia la
"riproducibilità tecnica" prima della fotografia e poi
dell'audiovisivo in movimento e la conseguente possibilità di produrre stimoli
sessuali per un pubblico improvvisamente molto
vasto, e a buon mercato. E' qui che la cultura elitaria della nobiltà,
che si travasa nella nuova classe dominante, la borghesia, alza barricate per
distinguere il sesso del popolo - volgare - da quello nobile, erotico, che
lascia spazio al desiderio perchè non si sazia del corpo esposto. Curioso e al
contempo illuminante mettere in dialettica il dato secondo cui una percentuale
massiccia di uomini e donne consuma pornografia su internet, con l'idea che
quello offerta dalla pornografia non sia un prodotto adeguato: adeguato a cosa
visto che pare che centinaia di milioni di persone traggano piacere ed
eccitazione sessuale con la pornografia? In riferimento a quale ordine di
ragionamento possiamo imputare un errore, un essere sbagliato, un non-essere
alla pornografia? Estetico? Morale? Etico? Epistemologico?
La condanna del realismo.
(citazioni da: Anatomia dell’osceno – Preludio a uno studio dell’oscenità (nell’arte) contemporanea/1 di Roberto Mottadelli)
Di questa dicotomia offre testimonianza
involontaria e imbarazzata un intellettuale raffinato come André Bazin.
In En marge de «L’erotisme au cinéma» Bazin scrisse
infatti che il cinema «può dire tutto ma non mostrare tutto», affermando in
sostanza che l’erotismo, quando supera l’allusione e si fa reale, esce
automaticamente dai confini dell’arte[3]. Una reazione simile, di istintivo rifiuto dell’osceno, si
poneva in contraddizione con il resto della sua estetica, testimoniata da
innumerevoli prese di posizione a favore del “cinema della realtà”. Tanto da
indurlo ad ammettere con stupefacente candore che «accordare al romanzo il privilegio
di evocare tutto e negare al cinema, che gli è così vicino, il diritto di
mostrare tutto è una contraddizione critica che constato senza superarla».
Consonante, ma decisamente più lucida, è la
posizione del sociologo Renato Stella. Il quale, cercando di individuare il
discrimine tra erotismo e pornografia, osserva che la distinzione classica –
erotismo come metafora della seduzione, pornografia come pura denotazione del
rapporto sessuale – è stata scardinata dal «primato dell’immagine sul racconto
scritto, e dell’immagine videoregistrata rispetto all’immagine fotografica, che
si traduce in una oggettiva riduzione d’importanza nella diffusione e
penetrazione dell’“erotismo colto” (prevalentemente scritto o rappresentato da
stampe e fotografie “d’autore”) rispetto alla pornografia (prevalentemente resa
in immagini filmate). A questo passaggio di supporti tecnici è concomitante la
nascita di nuovi stili di narrazione soprattutto visivi e meno immaginativi,
per cui gli antichi confini tra erotismo e pornografia vengono travolti più dai
codici, che dai contenuti imposti dal nuovo mezzo. Ne fa fede il fatto che la
“letteratura pornografica”, uscita dall’enfer delle biblioteche
pubbliche e private, oggi si trova nelle comuni librerie come “letteratura
erotica”[4]».
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