martedì 23 giugno 2015

PENSANDO A REMO REMOTTI

Non avrei pensato che a più di 50 anni mi fosse ancora possibile fare un incontro  in grado di  cambiare qualcosa dentro di me. L'incontro con Remo è stato anche questo.
La prima volta che ci siamo visti, a casa sua, nel febbraio di 2 anni fa, ho suonato al campanello di via Livorno, a Roma con qualche timore; avevo già visto Remo un paio di volte, una al bar in cui prendevo i moltissimi caffè che spezzavano il lavoro di studio ed un'altra ad una festa in cui ero capitato quasi per caso, che, tra l'altro, festeggiava il suo compleanno. Sapevo poco o niente di lui, ma l'impressione che avevo tratto da quest'uomo sgargiante e dall'età indefinibile, era di una personalità ingestibile, un uomo dal linguaggio pesante, da cui ti potevi aspettare ogni sorta di approccio relazionale, di quelli che ti mettono in difficoltà. Per questo quando andai a trovarlo in quel tardo inverno nel 2013, ero timoroso. chissà che mi dirà, magari mi prende a parolacce cacciandomi via.  Facevo male a preoccuparmi, Remo è solo di una sincerità disarmante, e se si era disarmati ed altrettanto sinceri con Remo si poteva solo avere un magnifico rapporto di franchezza e scambio e - con un po' di fortuna - di amicizia. Devo aggiungere che avevo qualche dubbio sulla sua opera, pensando fosse un po' furbo nel suo uso di un linguaggio esplicito, nella sua "ode alla sorca" che gli aveva dato notorietà, un narcisista in cerca di riflettori, uno da smascherare: insomma mi portavo dietro una gerla di pregiudizi.
Poi è cominciata la conoscenza, e l'ammirazione che mi conquistava cedeva ogni giorno il passo all'amicizia per quest'uomo : mi diceva - scherzando come con i suoi amici, "tu sei un fijo de 'na mignotta, tu sei frocio"; in un certo senso aveva ragione perchè il mio sentimento nei suoi confronti è stato animato da una tenerezza amorosa; poi la sua grandezza...



Un giorno, giravamo in un teatro dove Remo stava recitando per il documentario alcuni dei suoi monologhi; ad un certo punto, seccato dalle mie continue indicazioni sbottò, urlando "io sono un genio!"
Ci ho messo un po' a capirlo, ma Remo è stato davvero un genio. Manca dai coccodrilli, in queste ore in cui lo si ricorda sui media, il dato più macroscopico del suo lavoro: Remo è stato un artista, un grande artista, in grado di infondere la sua straordinaria vena nei più svariati campi dell'espressione, con una forza che solo una sorgente prorompente quale era quella della sua arte poteva permettergli. I suoi quadri, i suoi libri, la sua parola libera, forte, la sua capacità di performare ininterrottamente  sui palchi e nella vita quotidiana e la creazione di quella maschera, necessaria, che ha riempito il vuoto che una cultura bigotta, annebbiata dall'ombra del cupolone, aveva lasciato all'espressione del desiderio maschile (con una profondità che solo uno sguardo superficiale poteva non vedere) sono i segni di una grandezza che merita riconoscimento e riconoscenza.
Ho in camera, come un icona laica a fianco del mio letto talamico, un suo disegno, una donna tracciata con linee semplici su una superficie di legno grezzo, a gambe larghe con al centro, spalancata, l'amata sorca e sotto la scritta in stampatello LA FREGNA REGNA! Difronte, sulla parete opposta campeggia un disegno, comprato a Porta Portese e di autore anonimo in cui sotto i visi che emergono da un corteo stilizzato è scritto: prendiamoci la libertà di lottare. Ecco, in questi quadri ci sono l'alfa e l'omega di Remo, che ispirato anche dal suo estremo amore per il femminile, si è preso ad un certo punto della sua vita la libertà di lottare. Una lotta incruenta la sua, combattuta con gli strumenti della sua immensa carica d'amore, contro l'ipocrisia borghese, contro i luoghi comuni, la morale spesso doppia dei benpensanti, l'ingiustizia che divide gli uomini e le fortune secondo il cieco volere del caso che ci fa nascere ricchi o poveri; una lotta per la libertà senza limiti combattuta con una straordinaria disciplina dello spirito che mi sarà di costante esempio. Una lotta pagata anche cara con il tormento e la difficoltà di chi si spoglia del suo destino (il suo quello del borghese pariolino avviato ad ingrossare la classe dirigente) che l'ha portato tre volte a visitare il manicomio, in Perù,in Germania, in Italia, ma che l'ha reso, spogliato del suo bozzolo di crisalide, quella magnifica farfalla del pensiero che molti hanno conosciuto.

Ho passato gli ultimi due anni ad esplorarne l'opera per il documentario - Professione Remotti - che ambisce a raccontarne la grandezza e come accade per gli affreschi troppo vasti e complessi, per comprenderli con immediatezza è necessario esercitare lo sguardo da lontano, una visione aerea che permetta di coglierne l'unicità, la grandezza di una vita straordinaria.





Ora è lui che ci guarda da lontano, con il suo sguardo lucido e da lì ci urla con dolcezza: volemose bene, brutti stronzi!

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